DALLA CULLA ALLA BARCA
Mi ricordo quando andavamo in crociera con la barca di papà. L’Ecume de Mer classe ’74. Si caricava la cambusa di cibo: pere, pomodori, latte a lunga conservazione, scatolame e acqua nel serbatoio; poi si lasciavano gli ormeggi. Erano calde giornate d’agosto, il mare calmo appena increspato da piccole onde. Si faceva rotta verso la costa dalmata. A me piaceva stare in coperta al timone, oppure dormire nella cabina di prua dove il rumore delle onde sullo scafo era più forte, dove in manovra il mio corpo rotolava da una fiancata all’altra. Sono i ricordi di quando avevo cinque o sei anni: sole, tanto mare e vento. Vento… Finita l’infanzia cominciarono le prime regatine sugli Optimist. Salivo in quella vasca da bagno ascoltando il mare che sbatteva sulla prua della mia barca, ma stavolta nessuna fiancata poteva proteggermi dai primi schizzi d’acqua! Regatavo con l’impulsività e l’intuizione, mentre i ragionamenti e la logica erano ancora lontani dal mio Golfo (di Trieste). Andare per mare mi dava tranquillità ed il fatto di essere immersa in un altro ambiente dove nessuno mi creava disturbo, mi dava tempo per pensare e parlare con me stessa. Queste sensazioni perdurano ancor oggi ogni volta che salgo su una barca singola. Riassaporo il piacere dell’essere da soli.